Alessandro

Io e F. veniamo arrestati e invece che in prigione mi ritrovo (F. e’ uscita di scena) in una caserma che ha tutte le sembianze di un comune appartamento.

Con me ci sono altri due ragazzi, li conosco, sono vecchi compagni di naja. Di uno di loro mi ricordo anche il nome, ne sono piu che certo. Si comporta in modo strano, si muove spesso e parla a vanvera. Io gli rispondo chiamandolo per nome: “Tu sei Alessandro vero?. Il tipo nè conferma nè smentisce.

Sono in ansia e mentre realizzo di essere tornato a svolgere il servizio di leva vedo entrare nella stanza tre tipi. Uno di loro e’ G., un mio caro amico che e’ ufficiale nell’esercito. E’ venuto a “liberarmi”. Indossa Rayban a goccia e un giubbino di pelle, e’ molto concentrato e serio. Mi fa strada verso una porta che da all’esterno. Usciamo e ci dirigiamo verso casa sua.

Mentre camminiamo un po’ affrettati mi rendo conto di dove siamo, riconosco i palazzi. Mi rivolgo a lui dicendo: “Ah, e’ vero, me lo avevi detto che avevi casa di fronte alla caserma.”.

Attraversiamo un paio di viottoli stretti, illuminati da luci giallo/verdi ed arriviamo ad un bar. Lì ci aspettano altre persone. Sono sedute ad un tavolo su delle panche, sulla terrazza del locale, sembrano molto ansiosi di parlarci.

Arrivato al tavolo con l’idea che quelle persone siano lì per aiutarmi, realizzo poco dopo che invece sono altri individui bisognosi dell’aiuto di G. Mi preoccupo, anche perche’ una di loro ha un biglietto attaccato addosso con su scritto “4 anni”, il tempo che attende invano l’aiuto del mio amico.

Stanza 101 e lavagne vuote

Ho rivisto il film tratto da 1984 di George Orwell con Richard Burton qualche mese fa, bloccandomi su Winston che rinnega il suo amore per Julia alla vista di una gabbia piena di topi.

Il suo incubo peggiore ha preso vita nella stanza 101.

Tutti sanno cosa c’è nella propria stanza 101, un distillato di paure ancestrali che ognuno si porta dietro insieme all’anima.

Nella mia l’altra notte c’era l’incapacità di scrivere, una tastiera senza tasti. Una tastiera di sabbia.

E c’era anche una lavagna di nera ardesia vuota. Ero (forse) di nuovo al liceo e non riuscivo a svolgere lo studio di una funzione. Con la mia prof. che mi guardava stranita. Nemmeno gli asintoti… Ne’ il delta. Era di nuovo il 2000.

Delitto e castigo

Sono seduta sul sedile di dietro di una macchina e davanti ci sono un uomo e una donna che sembro conoscere. Stiamo guidando lungo viale Trastevere e poi giriamo a destra e la strada ci porta in un paesino. Scendiamo e suoniamo ad una porta. Ci aprono una donna con la figlia adolescente, noi chiediamo dove sia il marito, lei ci indica un posto poco lontano. Raggiungiamo il luogo, troviamo l’uomo e lo uccidiamo (mi sembra strangolandolo). Risaliamo in macchina in silenzio ma io sono disperata perché so che la polizia risalirà a noi tramite la moglie e dovrò passare il resto della vita in carcere e ho così buttato la mia vita.

Cambia scena, sono a Londra, Bea mi dice che devo tornare a lavorare nella nuova sede della galleria JJ/WC (dove ho lavorato davvero) e che lei già lavora lì da un po’. Sono incerta ma salgo sulla metro per andarci. Quando scendo chiedo indicazioni ad una signora ma parliamo in francesce invece che in inglese e poi mi rendo rendo conto che anche i nomi delle vie e le targhe delle macchine sono scritti in francese. Allora mi dispero e mi rendo conto di essermi addormentata sulla metro e di aver attraversato il tunnel della Manica senza accorgermene.

Chiusi in casa

Si stava preparando una bufera e dovevo assolutamente proteggere me e la mia famiglia. Sbarro le finestre e mi avvio a chiudere la porta dell’ingresso. Ecco che si presenta Lucky il mio cane, impaurito e subito lo faccio entrare… bene! chiudo la porta ma poi sento altri rumori di fuori, non sono della tempesta e apro leggermente la porta per controllare. E’ un altro cane, un cane randagio, dall’aspetto non minaccioso, marrone, che si intrufola dentro casa. Ci prepariamo alla tormenta…

Il giorno della mutanda & Co.

Stiamo tornado dalla spiaggia percorrendo il bagnasciuga e so che passero’ davanti alla ragazza che avevo notato prima. Cammino nell’acqua per fare prima (!?) anche perche’ i miei compagni sono gia’ lontani, ne intravedo uno che indossa una maglietta rossa. Cammino guardando la sabbia, fa presto buio, troppo in fretta, arrivo nel punto dove sta la ragazza e mi volto fugacemente per guardarla. E’ letteralmente incastonata nella sabbia, e’ visibile solo il viso, sorride serena.

La sorpasso e mi ritrovo in casa mia, e’ leggermente piu piccola ma la disposizione delle stanze e’ pressoche’ quella reale. Sono in salone con mio cugino e con la ragazza di cui sopra, lei e’ su un lettino da estetista. A me arriva un sms, prendo il cellulare e noto che arriva da un mittente chiamato “federale” e subito dico: “E ora che vogliono i federali da me, che vuole l’FBI?”.

Apro il messaggio e leggo che non devo accettare sms da un certo Marco221 (non ricordo bene il numero) perche’ sono pericolosi. “Ma io non ho mai ricevuto messaggi da sto Marco!” dico scocciato e affermo che di certo non risponderò a questo messaggio, non di certo all’FBI… quindi con aria marpiona dico: “Se proprio devo usare il telefonino lo usero’ per segnare il numero di telefono di Silvia” (la ragazza sul lettino). Mentre lo dico mi giro verso di lei e noto con dispiacere che mio cugino le sta dando un bacino sulle labbra. Penso però che nonostante ciò posso avere ancora qualche speranza e mi dirigo verso la cucina.

Mentre mi incammino mi giro verso di loro e con fare sciocco gli dico: “Che stupido, dovevo andare prima in camera da letto” dicendo però a me stesso che avrei dovuto dire “al bagno” poiché quando mi sono incamminaTo verso la cucina il punto da cui provenivo non era piu il lettino con la ragazza ma bensì il mio letto dal quale mi ero appena alzato e il primo posto dove si va quando ci si sveglia è il bagno.

Mi incammino quindi verso la camera da letto, saltellando come sono soliti fare i bambini e mi ritrovo in un letto singolo, sotto la finestra. Con me c’è un bambino piccolo, è il nipote di Simone R.. Si sveglia di colpo e mi dice: “Non l’abbiamo preso l’aereo?”. Io lo guardo un po’ perplesso e gli chiedo se voleva prendere l’aereo con le mutande o senza poi mi risponde mezzo assonnato: “E’ il giorno della mutanda”. E io: “E’ domani o Giovedi’ il giorno della mutanda?”. Mi risponde che e’ Giovedi e allora lo rassicuro perche’ a Giovedì mancano ancora due giorni.

Mi ritrovo in piedi di lato alla finestra intento ad alzare la serranda. Pero’ il meccanismo e’ un po’ arrugginito e faccio fatica, cosi’ tanta fatica che devo letteralmente appendermi alla cinghia per poi usare il mio peso per farla scorrere. Questo per due o tre volte.

In quest’ultima stanza si e’ svolto anche un altro sogno, prima di questo che ho raccontato, ma del quale ricordo molto poco. Ricordo solo che la stanza aveva 9 o 10 posti letto, la maggiorparte erano letti a castello, aveva due finestre e una dava su un piazzale molto ampio in terra battuta.

Ho fatto anche un altro sogno in cui mi ritrovavo per motivi di lavoro nella via che percorrevo per andare a scuola, alle superiori e mi stupoivo del fatto che mi ritrovassi li dopo anni. Nonostante ci fosse il marciapiede (peraltro ristruttrato) camminavo sulla strada. Notavo in lontananza la svolta a detra che portava al mio ufficio e ragionavo sul fatto che dalla finestra dell’ufficio, tramite una serie di riflessi su finestre di palazzi adiacenti, riuscivo a vedere il posto in cui mi trovavo in quel momento.

Deliri toscani

Sto a San Quirico a casa dei miei. Mentre mi dirigo verso il campo oltre il ponticello intravedo mio padre. Lo saluto e dietro di lui noto che non c’e’ piu il recinto con le caprette e le grotte che c’erano prima sono state ristrutturate con blocchi di tufo nuovi nuovi. Gli chiedo che fine abbia fatto il recinto e lui indica alla mia destra. Mi giro e vedo che, nel lato destro del campo, c’e’ una costruzione ad un piano costituita anch’essa da blocchi di tufo. E’ molto ampia e con un terrazzo rialzato dal terreno costruito con assi di legno. La trovo fantastica e non vedo l’ora di visitarla da piu vicino. Chiedo a mio padre quando sia stata costruita e lui, con fare un po’ scocciato mi dice “Eh, quando e’ stata costruita secondo te?”… dal suo tono e viso capisco che l’ha costruita lui nella mattinata. Mi giro di nuovo verso la costruzione ora separata da me da una rete metallica, oltre la quale c’e’ mia sorella V., vicino alla casa. Abbasso lo sguardo e intravedo un’apertura nella rete e decido di sfruttarla per avvicinarmi a questa opera edile. Infilo prima la testa e noto che una radice fuoriuscita dal terreno mi complica il compito di raggiungere l’altro lato della rete, nel mentre un serpentello esce dal terreno. Allora mi affretto e inizio a gridare a mia sorella “Un serpente, un serpente!” perche’ ho paura che mi morda, poi il serpente cresce di dimensioni e dico “Ah no e’ un boa” e mi tranquillizzo perche’ so che il boa non uccide mordendo.

Mi ritrovo prima del ponticello con F. e le dico che non trovo piu la marijuana. Lei mi indica una piantina vicino a me dicendo che posso usare quella anche se non e’ cresciuta molto perche’ e’ inverno, la prende e me la porge. E’ buio e non capisco bene di che pianta si tratta poi capisco che si tratta di rosmarino e mi indispongo un po’ perche’  ha tolto una piantina di rosmarino dal terreno quando questa doveva ancora crescere. Sondo il terreno col dito per trovare l’alloggiamento originario della piantina e una volta trovato lo allargo un po’, ripongo la piantina e compatto la terra attorno ad essa.

Mi dirigo verso la porta di casa e dal vetro vedo mia sorella V. che pulisce per terra, indossa una vestaglietta bianca e delle cuffiette, mi sembra un po’ agitata. Busso al vetro e lei si gira, apro la porta, entro e lei inizia a lamentarsi del mocio che sta utilizzando, non funziona come dovrebbe. Me lo mostra e in effetti non e’ il classico mocio che tutti conosciamo, al posto delle fettucce ha dei fili blu, tantissimi.

Sono di nuovo con F. nello spazio prima del ponticello e sono in ansia perche’ non troviamo piu nostra figlia. Le chiedo se e’ stata lei la sera prima a metterla in macchina poiche’ io non ricordo di averlo fatto. Sono nel letto di casa di Roma che piango per questo fatto, F. non c’e’. Mi sveglio e la vedo che guarda nella culla, le chiedo “E’ tornata? Dov’e’ stata tutto questo tempo?”. Poi mi sveglio sul serio…

I due fratelli

Io, A.M. e M.R. siamo nella cucina di casa mia. A. è ai fornelli, M. sorseggia un bicchiere di vino. Mi rivolgo ad A. chiedendogli se la sera prima, in occasione della cena al treebar, si sia offeso per qualche frase di Simona e se per questo abbia deciso di andare via così in fretta. A. mi risponde di essere tornato a casa per stare con sua figlia e per aiutare F. a preparare un esame universitario. Mi confessa, però, di essere stato leggermente turbato da un’affermazione di Simona. Prima che A. inizi a spiegarmi di cosa stia parlando, mi accorgo che davanti al lavello dei piatti ci sono due bambini. Capisco che sono due fratelli e do loro il benvenuto in casa mia dicendo: ” Oh! Ma non mi ero accorto che ci sono due bambini!” Poi mi correggo e dico: “Anzi, due ragazzi!” (ricordando come mi offendevo da piccolo quando alla loro età mi chiamavano bambino). A. mi dice che lui e M., prima di salire a casa, hanno incontrato una loro amica e l’hanno invitata a salire. Usciamo dalla cucina e M. me la presenta. E’ una ragazza mora, piuttosto bassa, sulla trentina, dall’aria semplice e un po’ sprovveduta. Mi dice di essere lieta di conoscermi. Ci intratteniamo per un po’ di tempo sulla porta della cucina mentre, faticosamente, tento di tenere desta l’attenzione e celare il mio disappunto per la sua inaspettata e inopportuna presenza in casa mia.

L’ufficio-ospedale

Con mia grande sorpresa vengo a sapere di essere stato trasferito di stanza e la mia compagna di lavoro altri non e’ che una vecchia collega con cui ho lavorato all’inizio della mia vita lavorativa. Contento di cio’ mi industrio per sistemare la stanza, ridotta in uno stato pietoso, molto somigliante ad uno studio di un artigiano. Assi di legno qua e la appoggiate a terra e alle pareti, le sposto, di poco… Poi torno ad occuparmi della scrivania. E’ posta longitudinalmente ad una delle pareti corte della stanza, al suo centro, accanto a quella della mia collega ed un vetro divide me e lei. Sulla porta appare il mio vecchio responsabile di cui non ho un bellissimo ricordo e subito capisco di essere tornato a lavorare per lui. Faccio notare la mia scontentezza ed esco dalla stanza con passo affrettato per andare a reclamare non so bene da chi. Mi dirigo fuori dell’edificio percorrendo un corridoio lungo con pareti verdine; arrivo ad una stanza all’interno della quale intravedo una doccia in funzione e dietro al pannello di vetro appannato spicca un fondoschiena (notevole) di una ragazza con pelle leggermente scura. Mi avvicino e piu in la c’e’ un uomo grassottello con un camice da infermiere verde, mi vedono e cambio strada. Esco dal portone a vetri dell’edificio e davanti a me un enorme prato brullo con pochi alberi. Mi dirigo a sinistra sul marciapiede grigio e inizio a correre ma quasi subito le gambe si appesantiscono troppo e faccio fatica a mantenere l’andatura.