Il teatro e l’uomo effemminato

Sono in un paesello non ben indentificato. Sto per entrare nel cortile di un condominio dove sono schierate decine di sedie. Sono quasi tutte occupate. Io e la mia compagna ne occupiamo un paio delle ultime file. Apprendo che siamo lì per assistere a uno spettacolo teatrale ma da quella distanza non si riesce a vedere molto. Mentre la mia compagna si alza e raggiunge il palco, penso, tra me e me, che forse potrei fare in tempo a tornare a casa a prendere il mio binocolo, per osservare meglio. Invece mi alzo e la seguo e noto che nel frattempo, grazie a sue conoscenze, ha rimediato due posti più vicini al palco. Mi siedo su una sedia leggermente di lato rispetto al palco. Alcuni ragazzi mi si avvicinano e iniziano a parlarmi. Non ricordo bene cosa mi chiedono ma il loro accento è chiaramente Toscano. Rispondo e penso, essendo arrivati lì da poco e dopo un brevissimo viaggio: “Certo che bastano veramente pochi minuti di viaggio per notare notevoli cambiamenti di dialetto da un paese a l’altro”.

Mi trovo in uno studio, uno di quelli che si possono ritrovare nei film. Stanzone, scrivania altrettanto grande al centro subito di fronte alla grande finestra a vetri. Io, in piedi di fronte alla scrivania e dietro, sempre in piedi, un tipo decisamente stravagante ed effemminato. Barbetta incolta, bionda o brizzolata, pochi capelli dello stesso colore, un boa di piume di struzzo al collo che lascia cadere sul (forse nudo) petto. Esile di corporatura. Con movenze troppo cariche di raffinatezza, agita le braccia e mi parla. Credo abbia qualcosa contro di me. Alla sua destra e alla sua sinistra, ad un certo punto, appaiono come per magia due omoni che assumono all’unisono pose da modella. Forse le sue guardie del corpo. Io sempre in piedi, fermo, zitto. Il punto di vista dell’osservatore cambia ed ora è raso terra. Segue i passi del tipo che ora ha lasciato il retro della scrivania per raggiungermi. Indossa delle scarpe di tela tipo Superga, di colore chiaro, con qualche accenno di colore qua e là. I suoi passi al rallentatore affondano nel manto erboso di cui è ricoperto il pavimento.

Amici cresciuti e portafogli perso

Sono in un locale notturno, forse a un concerto. La sala in cui mi trovo è ampia e tutta in legno… tinte rosso bordeaux qua e là. Nell’angolo di fronte a me c’è una tavolata. Intravedo un paio di persone che conosco. Una di loro è T.G. e siede di spalle. In realtà è come inglobato nel grande tavolo di legno e solo la testa, su cui poggia un bel cappello a falda larga, è visibile. Mi avvicino per salutarlo, sicuro che la sua sorpresa sarà grande dal momento che è tanto tempo che non ci vediamo. Faccio una battuta sul fatto strano della testa poi lo saluto appoggiando le mani sulle sue spalle. Rimango un po’ deluso perchè non si sorprende poi tanto… anzi, per niente… ma non lo do a vedere. Si gira, ci salutiamo e noto subito la giacca e gilet che indossa. La giacca è di velluto marrone, a coste larghe. Il gilet è di tessuto anch’esso marrone. Non è il T.G. che ricordo poichè lo trovo… come dire… cresciuto… E’ molto più alto che nella realtà e anche la corporatura è proporzionata all’altezza. Dimostra comunque l’età che ha nella vita reale. La voce mi colpisce particolarmente, molto profonda. Mi fa pensare che sia a causa della fase dello sviluppo…

Mi ritrovo davanti a un teatro con alcuni amici. Ricordo bene la presenza di M.R.. Dobbiamo entrare a vedere uno spettacolo ma alla fine, non so per quale motivo, io non entro. Mi ritrovo a sonnecchiare piacevolmente in un letto, sotto a un enorme piumone. La location però è un po’ inquietante… In effetti ‘sto letto si trova in una specie di garage senza saracinesca, dalla cui entrata si riesce a vedere la strada della città in cui mi trovo. Non ricordo come sono finito lì ma provo una sensazione di smarrimento. Sono in mutande e mi preoccupo del fatto di aver perso il portafogli… Per strada, di notte, con un lenzuolo a coprire le intimità, racconto ad una ragazza mora vestita di bianco della mia perdita sperando che mi possa aiutare a ritrovare documenti, soldi e quant’altro fosse contenuto nel portafogli… Mi consiglia di ripercorrere a ritroso le ultime ore in modo da poter capire dove e come lo abbia perso ma pur sforzandomi non riesco a ricordare niente… zero, il vuoto!

Tempo

Sto pensando allo scorso inverno, alle cose che ho fatto. Ho paura di non fare nulla.

Allora penso a quando mi sono iscritta al corso di teatro, che mese era. Se sono ancora in tempo per fare delle cose

L’incendio, la casa di C. e l’unghia putrida della sorella

Sono in un cortile di una scuola. Ci sono molti tavoli in legno sui quali sono in vendita libri e giornali. Improvvisamente comincia ad andare a fuoco uno dei tavoli. Mi precipito a spegnere le fiamme che, nel frattempo, stanno divampando un po’ ovunque. Riesco ad arginare l’incendio per un po’ di tempo fino a quando, però, prende fuoco un cabinotto alle mie spalle coperto da un tetto in eternit. Sono preoccupato che il calore possa spezzare il tetto facendo uscire polveri cancerogene. Mi affretto ad utilizzare un tubo collegato ad un rubinetto. Lancio l’estremità del tubo nel gabbiotto prendendo poi un’altro tubo con il quale cerco di abbassare la temperatura della zona infuocata al fine di riuscire a spegnere l’incendo. Il mio tentativo risulta ben presto vano.

Decido di scappare e dico a B. di seguirmi per la scala antincendio.

Scendiamo verso il basso e, arrivati quasi ad un’uscita, mi accorgo di avere dimenticato il mio zaino ed il mio portafoglio dietro una porta di un’aula al piano superiore. Decido a malincuore di rinunciare a recuperare i miei oggetti facendo tesoro dei consigli che tempo fa ho avuto modo di udire durante un corso antincendio.

Io, B. e sua sorella ci dirigiamo verso la casa più vicina. Siamo nella zona di S.Pietro e ci dirigiamo verso casa di C., la mia ex-fidanzata.

Entriamo nell’appartamento sapendo che C. e la sorella in questo periodo sono fuori Roma, che i genitori sono andati al cinema o a teatro e che non torneranno prima di un paio d’ore.

B. va a farsi una doccia in uno dei due bagni della casa, sua sorella va nell’altro, io rimango sdraiato sul letto a pensare al rischio che stiamo correndo. Temo che possano tornare i genitori da un momento all’altro.

Ad un certo punto entra la vicina di casa, vicina di casa della mia fidanzata di quando ero adolescente. Mi guarda con sospetto, ma non fa minimamente cenno al fatto che mi abbia sorpreso in flagrante.

La signora mi racconta di sua sorella. Dice che, poverina, ha perso quattro dita in un recente incidente domestico. Mi mostra una sua unghia pretendendo che io la porti come come portafortuna.

Inorridisco di fronte a questo oggetto marrone e putrido.

Chiamo B. e sua sorella a gran voce dicendo loro di andare via in fretta da quella casa.