Passato e Futuro

Sono su via Giovanni Lanza.

Nel piazzale davanti ad un rivenditore di moto il mio amico Zac parcheggia la sua nuova auto.

“E’ una opel Rekord del ’77” mi dice “ed è in ottime condizioni!”

Zac mi fa vedere la carrozzeria bianca e gli interni blu;  mi mostra il volante, i coprisedili, le tendine posteriori.

Sono colpito dalle ottime condizioni dell’auto che assomiglia molto, nel sogno, ad una Fiat 131 o ad una Opel Ascona degli anni ’80.

Chiedo se l’auto sia provvista di trazione anteriore o posteriore, ma Zac dice di non sapermi rispondere.

Apriamo il bagagliaio dove troviamo, con mia grande sorpresa, un motore in ottime condizioni, pulito e ben lubrificato anche se visibilmente usato. Ne ascoltiamo il rombo e costatiamo il buon funzionamento degli ingranaggi.

Osserviamo che sul fondo del bagagliaio si è accumulata un po’ d’acqua piovana, ma riflettiamo sul fatto che sia un danno facilmente riparabile e una condizione non grave per una macchina del 1977.

Controllo con cura alcune guarnizioni staccandole dal loro alloggiamento e mi accorgo che una di queste è del tutto simile ad un anello che anni fa trovai per caso in un cassetto di casa mia e che tuttora conservo.

Zac è entusiasta del suo acquisto. Mi dice che a lui e alla sua famiglia serviva un’auto in più e mi racconta di aver scelto una macchina d’epoca per una questione estetica ma anche per una questione economica visto che per i veicoli storici è previsto un pagamento ridotto dell’assicurazione e del bollo.

Penso che Zac abbia fatto un buon affare viste le condizioni dell’auto; rimango però perplesso quando vengo a sapere che per comprare l’auto Zac ha dovuto pagare circa 15.000 Euro.

Mentre Zac mette in moto il suo nuovo mezzo e si allontana con un sorriso pieno di soddisfazione, io mi dirigo verso casa.

Improvvisamente mi trovo nel mio soggiorno a giocare con due bambini.

Sono padre e i miei due figli maschi hanno all’incirca 5/6 anni.

Sto giocando con allegria e mi stupisco di come il tempo sia passato in fretta.

Rifletto inoltre sul fatto che mi piacerebbe enormemente poter avere una figlia femmina e formare così un nucleo familiare numeroso.

Penso a G.V. e a come anche lui abbia avuto una figlia dopo molto tempo dalla nascita dei suoi due figli maschi.

Via dei Gelsomini

Sono in una località residenziale e nel sogno so che si tratta di Casalpalocco ma assomiglia ad un misto tra Ansedonia ed un villaggio greco vicino al mare. Io mi aggiro tra queste strade piene di alberi e di fiori, con giardini bellissimi che nascondono ville bianche con finestre blu. Sono alla ricerca di SM, un mio vecchio compagno di università di quando studiavo legge. So che abita al n 44 di Via dei Gelsomini, ma la numerazione è completamente senza senso e infatti mi perdo e finisco nel giardino di un’altra casa. Questa casa, per una coincidenza, è di persone che conosco e che non vedo da tanto tempo e arriva anche Fabri. Si decide di andare a fare un giro in barca e magari di fare il bagno ma io non ne ho tanta voglia e poi non ho il costume. Poi mi ritrovo in macchina, non so con chi, e tutta questa bella località sembra invece una cava di pozzolana, simile a quella che sta in campagna da me e io so che c’è qualcuno che mi sta seguendo…

Alessandra

Aveva deciso di lanciarsi senza paracadute, io forse avrei potuto impedirlo ma non lo feci. La guardai gettarsi nel vuoto, guardai il caschetto, i capelli biondi, il vestito blu. Mi gettai anch’io. L’aria era violenta e gli occhi faticavo a tenerli aperti. Un cavo oscillava furiosamente sotto di me, strattonando e frustando l’aria. Lì era appeso il paracadute per Alessandra.

Lei avrebbe dovuto cercare di agganciare il cavo, raggiungere il paracadute, indossarlo e aprirlo. Se fossimo state troppo vicine a terra avrebbe anche potuto tentare di raggiungere direttamente il paracadute, non so. Comunque non fu questo il problema.

Vidi il suo corpo a pochi metri sotto di me: manteneva una posizione orizzontale e alata. Quando fu abbastanza vicina al cavo tese le mani in avanti, formò una specie di abbraccio. Poi le sue braccia si aprirono e lei fu trascinata un po’ più giù e un po’ più lontana. Precipitavamo entrambe ancora abbastanza lentamente.

All’inizio cercai di raggiungerla. Il mio corpo mi faceva sembrare il tentativo possibile. Quando me la trovai vicina lei alzò il viso verso di me, come se avesse intuito la mia presenza. Poi si allontanò di nuovo. Non venni giù rovinosamente ancora per un po’: l’aria mi cullava, mi sosteneva. Lo stesso non si poteva dire di lei, finché non la persi di vista.

Intorno a me era un susseguirsi di colline: all’inizio mi apparvero come un’indistinta massa di verdi e marroni, poi iniziai a riconoscere il tracciato dei fiumi e dei torrenti, la forma dei boschetti che li costeggiavano, il colore fermo dei campi appena arati. Lei non c’era, né intorno a me, né sotto, né altrove. Sotto di me era pianura, era il suo paracadute ancora agganciato a me. Lei continuava a non esserci, c’era solo una macchia scura che precipitava sempre più rapida verso il basso, verso il paese, le case, i cortili, un albero, il cemento.

Mi restò il tempo di ricordare l’espressione dei suoi occhi, frutto del bisogno che aveva avuto di noi, della certezza che non l’avrei lasciata sola, del suo docile abbandonarsi.

Alessandra attribuiva completa fiducia a quelli cui concedeva il potere di salvarla. Non trovai nessun motivo per aprire il mio paracadute.

Il volo in un’estate innevata

Sono in viaggio con degli amici e camminiamo da molto tempo senza sentire, però, la fatica dei passi…arriviamo su una spiaggia molto affollata e piena di persone distese al sole. Poggio lo zaino a terra e provo a sedermi, ma mi rendo conto che la sabbia è completamente ricoperta di neve! Una neve bianca, soffice e decisamente fredda!

Poi mi ritrovo ad un tratto sotto un enorme e maestoso ponte…anche qui c’è molta gente. Tutti sembrano desiderosi di recarsi  su di esso. Un uomo dallo sguardo vispo si avvicina al mio gruppo e ci mostra uno strano marchingegno: una bici graziella con un lunghissimo elastico che, secondo quanto ci stava spiegando, avrebbe potuto portarci in un men che non si dica sul ponte. Decido di provarla e….con un grande e agile salto volo sul ponte in sella alla graziella!

Deliri toscani

Sto a San Quirico a casa dei miei. Mentre mi dirigo verso il campo oltre il ponticello intravedo mio padre. Lo saluto e dietro di lui noto che non c’e’ piu il recinto con le caprette e le grotte che c’erano prima sono state ristrutturate con blocchi di tufo nuovi nuovi. Gli chiedo che fine abbia fatto il recinto e lui indica alla mia destra. Mi giro e vedo che, nel lato destro del campo, c’e’ una costruzione ad un piano costituita anch’essa da blocchi di tufo. E’ molto ampia e con un terrazzo rialzato dal terreno costruito con assi di legno. La trovo fantastica e non vedo l’ora di visitarla da piu vicino. Chiedo a mio padre quando sia stata costruita e lui, con fare un po’ scocciato mi dice “Eh, quando e’ stata costruita secondo te?”… dal suo tono e viso capisco che l’ha costruita lui nella mattinata. Mi giro di nuovo verso la costruzione ora separata da me da una rete metallica, oltre la quale c’e’ mia sorella V., vicino alla casa. Abbasso lo sguardo e intravedo un’apertura nella rete e decido di sfruttarla per avvicinarmi a questa opera edile. Infilo prima la testa e noto che una radice fuoriuscita dal terreno mi complica il compito di raggiungere l’altro lato della rete, nel mentre un serpentello esce dal terreno. Allora mi affretto e inizio a gridare a mia sorella “Un serpente, un serpente!” perche’ ho paura che mi morda, poi il serpente cresce di dimensioni e dico “Ah no e’ un boa” e mi tranquillizzo perche’ so che il boa non uccide mordendo.

Mi ritrovo prima del ponticello con F. e le dico che non trovo piu la marijuana. Lei mi indica una piantina vicino a me dicendo che posso usare quella anche se non e’ cresciuta molto perche’ e’ inverno, la prende e me la porge. E’ buio e non capisco bene di che pianta si tratta poi capisco che si tratta di rosmarino e mi indispongo un po’ perche’  ha tolto una piantina di rosmarino dal terreno quando questa doveva ancora crescere. Sondo il terreno col dito per trovare l’alloggiamento originario della piantina e una volta trovato lo allargo un po’, ripongo la piantina e compatto la terra attorno ad essa.

Mi dirigo verso la porta di casa e dal vetro vedo mia sorella V. che pulisce per terra, indossa una vestaglietta bianca e delle cuffiette, mi sembra un po’ agitata. Busso al vetro e lei si gira, apro la porta, entro e lei inizia a lamentarsi del mocio che sta utilizzando, non funziona come dovrebbe. Me lo mostra e in effetti non e’ il classico mocio che tutti conosciamo, al posto delle fettucce ha dei fili blu, tantissimi.

Sono di nuovo con F. nello spazio prima del ponticello e sono in ansia perche’ non troviamo piu nostra figlia. Le chiedo se e’ stata lei la sera prima a metterla in macchina poiche’ io non ricordo di averlo fatto. Sono nel letto di casa di Roma che piango per questo fatto, F. non c’e’. Mi sveglio e la vedo che guarda nella culla, le chiedo “E’ tornata? Dov’e’ stata tutto questo tempo?”. Poi mi sveglio sul serio…

Cambio Lavoro????!!!!

Dovevo fare una domiciliare con lo zio di L. Ero imbarazzata vista la conoscenza stretta e visto che la mamma di questo signore era sempre in mezzo alle scatole e non mi faceva fare nessun progetto. Dicevo che questo signore doveva iniziare a farsi da mangiare da solo, altrimenti come si poteva pensare di recuperarlo? La signora però cucinava sempre e quando arrivavo a casa era già tutto pronto. Un pomeriggio, mentre mi recavo a casa loro insieme ad L. ed al fratello, loro sono molto tristi. Gli domando cosa sia successo e loro mi dicono che loro sorella è morta, non so come. sono triste anche io e piuttosto imbarazzata di essere capitata in un momento così. Mi sforzo di piangere e ci riesco. Poi vado in Comunità incontro P., dobbiamo andare a fare una domiciliare a casa di V. Lo incontriamo sotto la Comunità che fa la pipì tutto nudo. Poi P. mi dice che la figlia di G. è morta. Penso che sia proprio una giornata sfigata e mi dico subito che mi dipsiace molto ma sopratutto perchè adesso G. sarà triste per molto tempo e poco disponibile per me. Poi mi sveglio.