Sono a C., mi sembra con mio padre che però è in sottofondo. Voglio acquistare una casa nuova, oppure aggiungere una parte nuova a quella già esistente; infatti scopro un terrazzo che non conoscevo, privo di parapetto su uno o due lati, confinante col giardino pensile di vicini simpatici. Procedo all’acquisto, ma a questo punto compare un boss locale con ricatti e minacce, non vuole che mio padre ne faccia una casa per anziani perché danneggia i suoi interessi mafiosi. Ribatto e lo contrasto con tutte le mie forze, anche se fatico a parlare e la voce mi si strozza in gola. Gli chiedo come si chiama, risponde: “Silenzio senza parole”; vorrebbe darmi la mano, me le porge entrambe, ma io mi sottraggo e le rifiuto. Mi sento serena per non aver ceduto al mafioso, anche se temo che faccia qualche attentato alla casa. Lo vedo andar via, è un personaggio grottesco, quasi ridicolo, con un lungo mantello di piume multicolori, una specie di boss da operetta.
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Ex cameriere e padre di famiglia
Sono in un ristorante. Capisco nel sogno che è un ristorante nel quale ho lavorato in passato (non ho mai fatto il cameriere). Ci sono molti clienti e vedo i miei ex-colleghi barcamenarsi con difficoltà tra le mille cose da fare. Decido allora di dare una mano e mi dirigo verso un tavolo dove un cliente, del tutto simile a mio padre da giovane, mi chiede delle posate pulite. Al suo fianco un ragazzino antipatico e con la puzza sotto il naso rinnova l’invito del padre a portare in fretta le posate. Entro nelle cucine e tento di recuperare velocemente un po’ di posate, ma nella confusione generale non riesco a concludere assolutamente nulla. Penso che forse ormai non sia neanche il caso di tornare al tavolo visto il tempo trascorso dalla richiesta. Immagino che il cliente possa aver chiesto aiuto ad un altro cameriere ed aver quindi già ottenuto le posate pulite.
Decido quindi di uscire dal ristorante. Mi trovo così in una piazza di un paesino. La piazza sembra una pista di un trenino da Luna Park e, allo stesso tempo, il giardino dell’asilo nido dove lavorava mia madre quando ero piccolo.
Tra la gente, vicino ad alcune bancarelle, intravedo il mio cane. Gli faccio un po’ di coccole parlandogli dolcemente e stupendomi della sua adeguatezza nel rimanere a lungo da solo in un contesto del genere.
Dall’altra parte della piazza c’è un bambino. E’ mio figlio. Ha circa tre anni e sta cercando di farsi accettare da un gruppo di bambini, desideroso di giocare con loro a guardia e ladri.
Il leader del gruppo sembra non gradire la sua presenza. Mio figlio viene spintonato e cade a terra. Gli dico di non piangere e di trovare una soluzione alla questione senza far vedere che è così intimorito dalle circostanze. Dopo avergli dato il consiglio mi pento immediatamente pensando che debba essere lui, secondo il proprio carattere, a trovare una soluzione alla difficile situazione. Attraverso questo mio intervento, penso, rischio di trasferire su di lui i miei problemi senza permettergli di sperimentare le proprie potenzialità, le proprie debolezze e le poprie capacità.
Dopo pochi secondi mi accorgo che il leader del gruppo sta ridendo a crepapelle a causa di una battuta di mio figlio.
L’intero gruppo ormai ha accettato mio figlio. I bambini ora corrono in cerchio e si inseguono per la piazza divertendosi e chiamandosi per nome.
Foto ricordo e autoerotismo
Sono nel giardino della casa in Toscana, sono appena arrivato e mi metto subito a sistemare un fazzoletto di terra che sta prima del ponticello, infestato da ortica e altre piantacce. Sradica qua, sradica la, il mio operato porta alla luce delle piccole uova decorate e alcuni ovetti Kinder…
Capisco subito che mio padre li ha nascosti li, sotto le erbacce, per poi poter fare una sorpresa quindi mi affretto a ri-piantare le erbacce, compresa l’ortica che pero’ non punge, affinche’ la sorpresa non venga rovinata.
Più in là nel tempo incontro mio padre, sempre nel giardino, che mi confessa di aver nascosto le uova e, dopo avergli raccontato la mia “scoperta”, ridiamo indicando le erbacce.
Mi ritrovo in una sorta di centro commerciale, alla mia sinistra una scalinata, per terra moquette forse blu, di fronte a me un uomo pelato con andatura frettolosa mi raggiunge. Lo guardo bene e riconosco in lui Patrick Stewart, l’attore che impersonifica Jean-Luc Picard, il comandante dell’Enterprise in Star Trek TNG.
Eccitato dal fatto cerco di fermarlo e gli chiedo se ci possiamo fare una foto insieme, un po’ a gesti, un po’ a parole. Lui dapprima dice di no, poi gli faccio capire che mi accontento di una sola piccola foto. Accetta, si ferma ma mantiene la frettolosità, io intanto mi rendo conto di non avere né un cellulare né tanto meno una macchinetta fotografica e allora, mentre ci mettiamo in posa, cerco, con lo sguardo e anche con la voce, qualcuno che possa immortalare questo evento.
Nel mentre noto sul viso dell’attore, poco sotto il labbro inferiore, una macchia rossa che si protrae fino al busto (probabilmente il ricordo della sua divisa da capitano elaborato male) e mi preoccupo del fatto che chi vedrà la foto riderà di questa cosa… Inoltre rimugino sul fatto che me lo aspettavo più alto.
E’ ora di andare via dal “centro commerciale” ma la mia attenzione viene catturata da una videoteca posta in cima ad una balconata. Decido di visitarla.
Arrivo in prossimità della videoteca ma invece di salire verso la balconata devo scendere delle scale mobili di colore giallo chiaro molto lunghe. Le imbocco senza indugio ma mi pento quasi subito quando, arrivando verso la fine, noto che lo spazio tra la mia testa e il soffitto diventa sempre piu piccolo. In effetti le scale mobili non mantengono la stessa distanza dal soffitto per tutta la loro lunghezza e arrivato alla fine del percorso devo letteralmente sdraiarmi sulle scale per non fare la fine del sorcio.
Riesco, con molta paura e fatica, ad arrivare dove dovrebbero esserci i film in noleggio ma al posto degli scaffali trovo delle salette con delle tende blu dove probabilmente vengono proiettati i film. Ci rimango poco anche perche’ l’aria condizionata e’ a palla e sto morendo di freddo, decido quindi di risalire dall’altra parte.
La risalita e’ molto meno difficoltosa. Alla fine delle scale vendono delle piante molto particolari, tropicali oserei dire. Piove.
Mi ritrovo nello stesso punto in cui ho incontrato Patrick Stewart ma questa volta sono all’esterno. Sono eccitato e mi apparto in un bagno pubblico giapponese. Una volta entrato mi assicuro che la porta sia chiusa, mi avvicino allo specchio che pero’ e’ una finestra dalla quale si dovrebbe vedere la piscina. Mi affaccio ma noto che la piscina si trova svariati piani sotto quello del bagno e per riuscire a vederla mi devo sporgere un bel po’. Sul muro di fronte posso vedere le finestre di altri appartamenti. Mi ritiro dentro pensando a come si viva male in Giappone…
Mi siedo sul bordo della vasca da bagno e inizio a praticare dell’autoerotismo con la bocca, con piacere ma sprattutto con grande stupore… Dopo un po’ noto con la coda dell’occhio degli insettini che razzolano per il bagno. Li noto anche sul lavandino, sullo specchio e in poco tempo mi rendo conto che sto bagno fa veramente schifo.
Esco e mi ritrovo vestito solo dei miei boxer rossi con i pesciolini seduto alla scrivania di casa che pero’ e’ posizionata di fronte alla testata del letto. Sento aprire la porta d’ingresso. E’ F. che ritorna e mi dice che sta con M. (nella realta’ una mia collega che non conosce) e mi prende un colpo perche’ sto in mutande.
Arrivano nella stanza dove mi trovo ma la scrivania si e’ trasformata nel letto e non mi preoccupo piu di farmi vedere in boxer dalla mia collega poiche’ sono coperto dal piumone. M. fa i complimenti per l’arredamento.
Il seminterrato
Sono nel seminterrato di via Madonna dei Monti che tanto tempo fa affittai con alcuni amici.
Io e C. abbiamo deciso di affittare l’appartamento (completamente da ristrutturare) con l’intenzione di aprire uno studio.
C’è molto da fare: buttare vecchi mobili, sistemare il bagno, dipingere le pareti, comprare un deumidificatore, ecc.
Il seminterrato è molto umido e pieno di muffa. Decido di salire su di una sedia e aprire le finestre che si trovano nella parte alta delle pareti di ciascuna stanza. Le persiane sono incastrate e coperte di ragnatele. Spingo per aprirle. Alcune persiane si aprono e altre si rompono lasciando passare la luce del sole. Sento un calore rigenerante che presto farà sparire l’umidità e la muffa sui muri. Entra anche una leggera brezza che mi rende sereno e mi fa pensare che presto l’odore di chiuso svanirà lasciando il posto a nuovi profumi.
C. ed io siamo molto contenti di iniziare insieme questa nuova avventura professionale.
Edward Norton versione Tootsie
Ero al cinema con la mia amica R. e altri, per vedere non so che film, ma comunque uno a cui tenevamo molto. C’era tantissima gente che saliva le scale. C. arrivava con la madre e altre persone, presumibilmente amici dei genitori, e andava a sedersi in galleria.
A un certo punto, mentre stavamo in una specie di sala d’attesa molto simile a un’anticamera della mia vecchia università, spuntava fuori Edward Norton vestito da donna (in modo imbarazzante, un po’ come Dustin Hoffmann in Tootsie. Ciononostante, rimaneva sempre Edward Norton), fischiettando un tema molto famoso (ma sul momento non ricordavo quale fosse). Io, R. e gli altri sapevamo che avrebbe dovuto cantare la colonna sonora di Rushmore poco dopo sul palco. Lui, che chiacchierava con altri sulla porta, mi chiamava e mi dava dei fogli raccolti in una busta trasparente, con un elenco di titoli scritto a mano, e mi diceva che probabilmente avrebbe cantato due canzoni. Io lo guardavo e gli dicevo una frase stupida, da fan idiota, tipo “Sposami”. Poi tornavo da R. e dagli altri e raccontavo la cosa in maniera ancora più stupida, così ridevamo tanto (in pieno stile Sex and the City) e ci dicevamo che non vedevamo l’ora di sentire Norton cantare.
Poi salivamo delle scale (c’era ancora tanta, tanta gente che cercava di raggiungere i posti) e qualcuno diceva che c’erano dei gadgets del film a disposizione, e io urlavo “Adoro i gadgets!”.
Nonostante la confusione, ci ritrovavamo al bar del cinema, piuttosto cupo, vicino la galleria. C’era di nuovo C. (ma forse c’era anche prima, probabilmente era stato lui a dirmi dei gadgets) seduto a un tavolino, che mi faceva notare che dicevo spesso cose “allucinanti” e che lui non diceva niente, però mica potevo fare sempre così, e io, guardando tutta quella gente che affollava il cinema, capivo che aveva ragione, che parlavo parlavo parlavo, stavo sempre a parlare, parlavo veramente troppo, e alla fine gli chiedevo scusa e mi sentivo in colpa.
A quel punto mi ricordavo di avere in mano una busta molto grande con dei gelati confezionati che dovevano servire in seguito. Mi chiedevo chi li avrebbe mangiati, e pensavo che non si potevano buttare via, e che avremmo dovuto costringere tutti a mangiarli, anche perché non erano tanti, giusto 5 o 6, e noi eravamo di più.
Subito dopo io, R. e gli altri decidevamo di fare un giro in elicottero, dal momento che ne trovavamo uno molto bello e molto grande lì vicino, proprio accanto al balcone della salagiochi del cinema. All’inizio salivo io, ma poi mi rendevo conto che c’era un po’ di gente, tra cui la madre di R. e un ragazzino che non conoscevo. Sull’elicottero (bianco, ma con dettagli colorati) c’erano diverse cabine, per 2 o 4 persone, aperte, senza protezione, e in volo bisognava stare sdraiati e aggrappati a dei tubi di ferro.
Mentre volavamo lì intorno (il panorama era bellissimo, giravamo intorno a una ruota panoramica, il paesaggio era collinare), mi rendevo conto di star seduta, e di non avere paura dell’elicottero. Quindi facevo tutta una serie di considerazioni tra me e me sulla sicurezza degli elicotteri e sul fatto che la percentuale di incidenti in elicottero fosse minore rispetto a quella degli incidenti in aereo, e intanto mi accorgevo che ce ne erano altri che volavano lì vicino.
Intanto iniziavamo a vedere (forse in un monitor) Edwart Norton e Ben Stiller che vestiti da donna (Ben Stiller aveva la tuta rossa del film “I Tenenbaum” e la stessa capigliatura) iniziavano a cantare in italiano (Norton aveva qualche difficoltà a ricordare le parole, e leggeva il testo, doveva aver recuperato i fogli che mi aveva affidato prima).
La canzone era inedita e a un certo punto mi rendevo conto che si trovavano anche loro due su un elicottero.
Cercavo di sentire bene le parole della canzone e di capire se mi piacesse o meno, e intanto atterravamo per tornare al cinema. Edward Norton e Ben Stiller si trovavano probabilmente sul nostro stesso elicottero, stavano scendendo anche loro, continuando a cantare, seguiti dalle telecamere.
Noi correvamo di nuovo verso il cinema, e la madre di R. diceva che avevamo perso esattamente 7 minuti di film in questo modo, ma io pensavo che non era stata colpa mia se avevamo fatto quel giro (perché supponevo che me lo stesse rimproverando), che di certo non avevo obbligato nessuno (neanche sapevo che lei fosse lì, dopotutto), e che tutto sommato c’eravamo divertiti da morire, dal momento che sentir cantare Edward Norton in italiano volando su un paesaggio così bello non capitava tutti i giorni.
Poi qualcuno diceva che in realtà avevamo perso troppo tempo nel sentire il racconto che riguardava una specie di mostro, una via di mezzo tra un dinosauro e un’aquila, che stava appeso sulla veranda di una casa colonica che si trovava proprio lì di fianco. Io non mi ricordavo niente di tutto ciò, e non capivo se a raccontare quella storia fosse stata la madre di R. o forse un’altra signora che viveva lì, ma sentivo che alla fine si diceva che, com’era prevedibile, mentre eravamo sull’elicottero avevano rubato una parte dell’animale, forse una zampa o un’ala.
A quel punto tornavamo al cinema dalla scala antincendio.
In viaggio
Decido di fare un viaggio da sola con la mia macchina. Forse dovrei anche raggiungere i miei genitori in vacanza da qualche parte, ma intanto mi muovo molto velocemente per l’Italia. All’inizio sono in Liguria, e scendo per una strada molto ripida, quasi in picchiata, verso un lago che so di conoscere, racchiuso fra alte montagne. Il panorama è bellissimo e sono contenta di averlo ritrovato. Poi sono sulla strada costiera, in alto sul mare, ma è come un percorso all’interno della montagna, che va per rocce e grotte, sterrato, con piccole aperture da cui ogni tanto si vede il mare di sotto. Ci sono anche degli spiazzi scavati nella roccia che sono come delle “stazioni”, dei sacrari, dove la gente si ferma per rendere omaggio; ne ricordo uno in particolare, dove c’è una lapide con dei nomi, e fiori, per ricordare alcune persone che sono state vittime dei nazisti. Poi mi ritrovo dalle parti di Parma e vado a visitare un castello che avevo visto in fotografia, sono contenta perché l’avevo trovato affascinante, simile a Castel del Monte. Mi affaccio al suo interno, con altre persone, da una specie di loggia, e il luogo si umanizza: dentro c’è un uomo nella sua casa, che lavora al computer, e ci parliamo amichevolmente. Alla fine ho voglia di una vacanza riposante e penso di andare al mare vicino Roma, magari a Fregene, e passarci un po’ di giorni in completo relax facendo bagni e prendendo il sole.
Hannibal the Cannibal
Sto camminando per un sentiero per andare al seminario della specializzazione tenuto dalla mia analista, sono in ritardo. Durante il tragitto sulla mia sinistra vedo una signora seduta per terra…i nostri sguardi si incrociano… mi manda a quel paese, io non riesco a capire se è una paziente o è l’analista… . Durante il sogno vedo la maschera di Hannibal the Cannibal, che nel film reale gli viene messa per non divorare le persone. Finalmente giungo al seminario. Siamo in cerchio e tutti seduti per terra, compreso la mia analista…lei percepisce che alcuni di noi (compresa io) sono molto “provati”, quindi indica sul prato delle lenzuola, come se fosse un letto, per sdraiarsi…riposarsi un pò…
Bulli al bar e il furto dell’auto
Mi trovo in un bar insieme all’ex ragazzo muscoloso di mia sorella S. Siamo li perche’ deve incontrare dei tipi con cui regolare dei conti.
I tipi sono già lì, sono piu grossi di lui ed uno ha un cane enorme al guinzaglio. Io sono al bancone e prendo una pastarella trasparente sulla quale spicca un cuoricino rosso di glassa, la mangio e mi accorgo che non sa di niente, e’ quasi inconsistente… Nel mentre esprimo il mio parere sui cani al tipo enorme accanto a me dicendo: “A me i cani non piacciono”, senza accorgermi di averlo fatto incazzare piu di quanto lo era gia per i motivi legati all’ex ragazzo di mia sorella. Esco dal bar.
Rientro poco dopo e noto che M. (l’ex di mia sorella) le sta prendendo di santa ragione dai tipi. Spaventato e incazzato allo stesso tempo, afferro una sedia bianca di plastica per una gamba e la agito in aria cercando di individuare la traiettoria piu idonea ed efficace per spaccarla addosso al tipo del cane ma lui si accorge di me e mi devo fermare per non vanificare il mio attacco. Ho lo sguardo torvo, preoccupato, tutti si fermano, un tipo in fondo al bar tiene M. per la maglietta. Dopo pochi secondi di silenzio generale dico “Allora, che dobbiamo fare?”… Poi, conscio del fatto che non avrei potuto fare niente poso la sedia e me ne vado fuori dal bar…
Entro nella mia macchina, una station wagon grigia, nuova di pacca. Decido di spostarla non so bene per quale motivo ma non riesco a trovare una collocazione tale da lasciare sulla strada spazio utile al passaggio di altre macchine. Faccio la prima manovra e mi posiziono in seconda fila, non mi piace. Seconda manovra, a spina di pesce accanto ad un’altra macchina in prossimita’ di un garage. Non mi piace neanche questa, anche perche’ ingombro leggermente l’entrata del garage.
Mi ritrovo su una strada sterrata che conduce in campagna, sempre in macchina. Sto andando in un posto a me conosciuto. Lascio la macchina in un piazzale e mi dirigo, a piedi, verso una stradina la cui fine e’ sbarrata da una recinzione in fil di ferro, di quelle a rombo per intenderci. La recinzione poggia du di un muretto di cemento. Mi sto per fumare una sigaretta quando mi viene in mente di aver lasciato la macchina incustodita con le chiavi attaccate.
Mi precipito verso il piazzale abbastanza tranquillamente pensando al fatto che in un posto sperduto come questo nessuno avrebbe potuto prenderla. Arrivo al piazzale e niente macchina. Un po’ più preoccupato ripercorro a ritroso la strada sterrata dalla quale sono arrivato perche’ credo di aver lasciato l’auto lì ma non la trovo. Torno indietro e dal piazzale dirigo lo sguardo verso un garage/officina posizionato su di una collina. So che la macchina sta li, rubata dal proprietario. Lo so bene perche’ era gia successo alla Panda che avevo prima della SW.
Mi dirigo verso l’officina e da un primo momento sembra non esserci nessuno. Appena arrivo inizio a gridare “Rivoglio la mia Alfa!” e mentre sono in prossimita’ dell’entrata mi giro di colpo e vedo il proprietario (un pischello) corrermi incontro minacciandomi con un falcetto che tiene in mano. Io mi difendo con un pezzo di legno e blocco il falcetto al volo. Iniziamo una discussione, con l’invito da parte mia, di effettuarla in modo pacato e civile. Dico al tipo in modo scocciato che vengo lì da quelle parti per fuggire dal caos cittadino e per stare tranquillo e che vedermi rubare l’auto e’ una cosa veramente brutta. A queste parole il tipo si calma immediatamente e si comporta come se fossimo amici di lunga data. Mi confida che vorrebbe andare a vivere in città. Io gli dico che non si rende conto di cosa ha detto e gli propongo di scambiarci le abitazioni. Ridiamo tutti e due. Nel frattempo la macchina ancora non mi e’ stata restitutita….